Essere immagine e somiglianza di Dio ci spinge ad accogliere e amare il prossimo

S. Pietro Crisologo, vescovo di Ravenna nella prima metà del quinto secolo dopo Cristo, dottore della Chiesa, in un suo libro intitolato “Discorsi mette in evidenza come l’uomo è prezioso per Dio. Egli fa notare come “la mano che si era degnata di prendere del fango per plasmare il nostro corpo, si degnò di prendere anche la carne per la nostra restaurazione. Ora che il Creatore dimori nella sua creatura e che Dio si trovi nella nostra carne, è un onore per l’uomo”.

A questo punto S.Pietro Crisologo si pone una domanda molto importante: “O uomo, perché hai di te un concetto così basso quando sei stato tanto prezioso per Dio?”. Credo che questa domanda deve spingere ognuno di noi a prendere coscienza di chi siamo e perché esistiamo. Non siamo marginali, insignificanti e presenti per caso nell’universo, come teorizzano gli scienziati non credenti, ma persone umane uniche e irripetibili, amate da Dio in un modo infinito. Avere la consapevolezza che “di me ce n’è uno solo, che in tutto il mondo non c’è nessun altro esattamente come me” ha come logica conseguenza che in ognuno di noi c’è un tesoro inestimabile che non si trova in nessun altro e quindi non siamo pedine intercambiabili o programmi di computer, ma tesserine uniche, fondamentali ed insostituibili del mosaico genere umano.

Da prima che nascessimo, anzi, fin dall’eternità, Dio Creatore conosce la particolarità di ognuno di noi e per ognuno ha un amore speciale ed un piano d-verso. Ciascuno ha l’ispirazione per creare qualcosa di bello nel suo modo irripetibile.

Questo accade perché l’uomo è stato creato “a immagine e somiglianza di Dio” (Gen. 1, 26). Anche San Pietro Crisologo evidenzia questo aspetto quando afferma che “il Creatore…ha stampato in te la sua immagine, perché l’immagine visibile rendesse presente al mondo il Creatore invisibile, e ti ha posto in terra a fare le sue veci”. Il fatto che le persone siano create a immagine di Dio, indica prima di tutto un orientamento, una direzione, una relazione.

L’orientamento è principalmente verticale, un rapporto con Dio. Se siamo a immagine di Dio, significa che la persona umana non può essere definita e compresa semplicemente in termini di se stessa, come entità autonoma, autosufficiente.

Io non contengo il senso della mia individualità solo in me stesso. Solo quando vedo me stesso in rapporto con Dio, la mia personalità acquisisce un significato autentico. Senza Dio io sono incomprensibile. L’uomo senza Dio non è normale, ma anormale, non è umano, ma disumano. Essere creati a immagine, significa che siamo stati creati per l’amicizia e la comunione con Dio e, se noi respingiamo tale amicizia e comunione, neghiamo la nostra vera natura. Quando sosteniamo l’umanità, noi sosteniamo anche Dio, e quando neghiamo Dio, neghiamo anche l’umanità. Ne consegue che non posso capire me stesso senza Dio.

Ma questo orientamento verticale al legame con Dio implica anche, in secondo luogo, un orientamento orizzontale: essere umano è essere in rapporto con i nostri simili. Perché il Dio, alla cui immagine siamo fatti, è Dio Trinità, e quindi l’icona del divino che è in ognuno di noi è un’icona trinitaria. L’uomo creato a immagine di Dio, significa allora che partecipa all’intima essenza di Dio che è quella di essere relazione d’amore tra Padre, Figlio e Spirito Santo. Infatti, ha affermato padre Cantalamessa: “solo l’uomo, in quanto persona capace di relazioni libere e coscienti, partecipa a questa dimensione personale e relazionale di Dio”. Più l’uomo ama e più è nitida in lui l’immagine di Dio perché diventa sempre più un essere in comunione. Più l’uomo compie gesti di solidarietà, di accoglienza, di dono di sé, più è un testimone autentico dell’amore di Dio che salva, più realizza il disegno di Dio di renderlo visibile nel mondo.

L’egoismo, la chiusura in se stessi, il disinteresse per il prossimo offusca nell’uomo l’immagine di Dio e lo porta ad allontanarsi dall’essere persona veramente umana. “La sovranità dell’uomo sul cosmo – ha affermato ancora padre Cantalamessa – non è dunque trionfalismo di specie, ma assunzione di responsabilità verso i deboli, i poveri, gli indifesi… L’incarnazione del Verbo ha apportato una ragione in più per prendersi cura del debole e del povero, a qualsiasi razza o reli-gione appartenga”.

Noi uomini siamo chiamati a cercare di riprodurre sulla terra lo scambio di amore reciproco che unisce i tre membri della Santa Trinità in cielo. Questo significa che non siamo coerenti con la fede che profes-siamo quando non accogliamo e respingia-mo il prossimo che bussa alla nostra porta.

Diacono Luciano Di Buò